L'uomo e la vita quotidiana
Sez. DA: La casa
La festa più sentita dalla comunità era quella del matrimonio. Anche la gente delle cascine e dei quartieri del paese partecipava alla festa degli sposi che aveva visto crescere.
Il giovane (“el giuanòt”) dopo aver prestato il servizio militare obbligatorio, quando ritornava a casa, il proverbio gli consigliava: a cà de suldàt o spusàt o frà (a casa da soldato o sposato o frate).
La giovane, invece, il concetto di famiglia e di matrimonio lo aveva coltivato dentro di sé quando giocava con le bambole o curava i fratellini mentre la mamma era nei campi. A 13-14 anni cominciava a cucire e ricamare lenzuola, tovaglie e a poco a poco si formava il corredo per le sue nozze. Imparava dalle donne della famiglia a dirigere la casa (“a fan dà la cà”).
Una volta sposati la situazione sociale dell'epoca prevedeva che la donna facesse numerosi figli. Negli anni '30 la famiglia media aveva dai cinque ai sette figli. La donna doveva accudire i figli e svolgere tutti i lavori legati alla cascina. Un bambino veniva messo nella “corriera o andadùra” in modo che potesse imparare a camminare. L'altro più grande veniva messo nel 'girello' di vimini.
Per far dormire i bambini si muoveva la culla sussurrando una filastrocca: Din don, li campani de' Pisighitòn, una la suna, l'atra la bala; l'altra la fa i capei de paia i capei de paia, i capei de paion Din don campanòn.

