L'uomo e la trasformazione delle materie
Sez. CE: La preparazione del vino
Coltivazione, vendemmia, produzione e conservazione del vino
I vitigni (sino all’Ottocento autictoni) disposti a filari, “maritati” alle piante come acero, olmo, gesso, seguivano gli spalti dei fiumi, esponendosi il più possibile ai raggi del sole, per meglio favorire la maturazione nella tarda estate. Dopo la potatura di fine inverno erano zappati, sarchiati, seguiti con amorevole cura sino alla vendemmia autunnale. Con la vendemmia si raccoglievano i grappoli e con apposite ceste e bigonce si trasportavano alla cantina luogo della successiva lavorazione.

La pigiatura, praticata manualmente nelle “navazze”, provocava la fuoriuscita del succo dagli acini e la conseguente produzione del mosto. Il mosto veniva posto a fermentare nella tina, grosso recipiente in legno a forma tronco-conica. Durante questo periodo lo zucchero contenuto nell’uva si trasformava in alcol e anidride carbonica. Al termine il prodotto separato dalle vinacce era messo in botti per la maturazione. Le vinacce erano recuperate, torchiate e con l’aggiunta di un po’ di acqua si otteneva il cosidetto vinello “birélu” (una sorta di vino novello leggero da consumarsi subito). Nella cantina il vino poteva essere travasato diverse volte al fine di separare meglio le sostanze solide precipitate, poi era lasciato sino alla primavera, dove con la “luna favorevole” era opportunamente imbottigliato. Bottiglie e bottiglioni, di vetro scuro, venivano tappati con turaccioli rigorosamente in sughero (i “büsòn”). Nelle bottiglie poste sugli scaffali di legno della cantina il vino invecchiava e acquistava col tempo qualità e bontà e quelle condizioni organolettiche di alimento importante ed essenziale alla tavola nostrana.
La viticoltura
Antichissima l’origine della coltivazione della vite lungo gli spalti dei fiumi. Sia durante la colonizzazione etrusca sia durante l’Impero Romano ebbe grande importanza, soprattutto nell’uso del vitigno locale CLINTO. Caduta e abbandonata in parte, in seguito alla caduta dell’Impero, tornò a sorgere grazie al lavoro paziente dei Monaci Benedettini e Cistercensi che ne rilanciavano la coltivazione.
Nell’area di Pizzighettone sia la coltura della vite sia la conseguente trasformazione in vino sono documentati da secoli. Secondo un’inchiesta del 1803, la quantità di vino che si produceva annualmente nel Comune di Pizzighettone era di 1500 brente milanesi, pari a 75.000 litri!
Il vino che si otteneva da un’“uva piena di spirito” era considerato di buona qualità. Difficile però la sua conservazione, soprattutto nel periodo estivo, a causa della mancanza di cantine sotterranee, la cui costruzione era impedita dalla falda acquifera alta, per la vicinanza del fiume.
Ciononostante, il vino prodotto era conservato con la massima cura possibile in botti di legno quercia, castagno, gelso e anche robinia. Anche le bottiglie di vetro, spesso di colore verde scuro, contribuivano al mantenimento del prodotto.