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L'uomo e la trasformazione delle materie

Sez. CB: La lavorazione del latte

La lavorazione del latte

La pratica di trasformare il latte in burro e formaggio risale alle antiche comunità padane e si sviluppò ulteriormente in età romana.

Dopo il Mille, i Monaci Cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle diedero ulteriore impulso alla lavorazione del latte, creando un formaggio a pasta dura. L’originale struttura granulosa, molto diversa da quella degli altri formaggi sino ad allora conosciuti, fece sì che al nuovo formaggio fosse attribuito il nome di “grana”. In questa area agricola della Bassa Lombarda tale prodotto fu oggetto nei secoli di importanti commerci.

Nel 1733 l’esercito asburgico, per sostenere Pizzighettone in procinto di essere assediata dalle truppe franco-sabaude, requisì nella vicina Codogno ben 220 forme di formaggio.

A Pizzighettone sorse agli inizi del Novecento uno stabilimento della prestigiosa ditta Polenghi Lombardo, mentre nel 1938 fu fondata la Latteria Pizzighettonese, tuttora in attività, che produceva l’emmenthal, formaggio originario della Svizzera, allora molto richiesto.

La produzione del cosidetto “grana padano” presso la Latteria Pizzighettonese iniziò nel 1953, mentre nel 1965 si iniziò a realizzare “il provolone”, un formaggio a pasta filata.

La produzione del “formaggio grana” oggi "Grana Padano"

Il latte della mungitura pomeridiana, scremato per affioramento, veniva mescolato al latte prodotto nella mungitura notturna e immesso in una speciale caldaia a forma di campana rovesciata.

Si aggiungeva al composto siero innesto e - tramite fuoco diretto o vapore - si portava la temperatura da 31-33° C, dopodichè si procedeva alla cagliata con caglio naturale di vitello.

Coagulato il latte, si passava alla minuziosa rottura della cagliata con lo spino e quindi ad una ricottura a 45-47° C con il cosidetto “colpo di fuoco” finale, tanto da innalzare la temperatura fino a 52-55° C. Una volta rappresa sul fondo della caldaia, la pasta veniva sollevata, spurgata e composta nelle apposite fasce di legno.

Dopo qualche giorno e per circa un mese le forme novelle erano immerse nella salamoia: questo processo serviva a salarle e ad indurire la crosta. In seguito venivano asciugate ed inviate al magazzino di stagionatura. Periodicamente rivoltate, pulite, oleate, le forme maturavano il tempo necessario (da un minimo di un anno e mezzo sino a tre anni).