L'uomo e la trasformazione delle materie
Sez. CA: La lavorazione dei metalli
Il fabbro

In genere il fabbro-maniscalco (“el frér”) indirizzava il suo lavoro più prettamente alla fucinatura dei metalli di sussidio all’edilizia (ferrate, cancelli, grate, cardini, cerniere, anelli, ecc)
La grande incudine, la focina ed un grosso martello rappresentavano la strumentazione base della bottega. Alcuni fabbri esprimevano il proprio spirito creativo con lavori in ferro battuto di buona fattura. A Pizzighettone si ricorda Agostino Gaetani (1864-1939) le cui opere si possono ammirare lungo le vie del centro storico e nella chiesa parrocchiale.
Nella seconda metà del ‘900 anche questa attività artigiana andò scomparendo, surclassata dai prodotti industriali che si allargavano sui mercati a tempi e condizioni più favorevoli. Solo alcuni fabbri, con buona intuizione imprenditoriale, negli anni si allargarono ad aprire vere e proprie officine meccaniche.
Il maniscalco
Un mestiere artigiano antichissimo che affondava le proprie origini all’introduzione della ferratura per gli animali. Il maniscalco aveva la propria bottega in paese, ma all’occorrenza si recava in cascina per la ferratura di cavalli, muli, asini e buoi. Abile e veloce, applicava le ferrature con precisione e perizia, salvaguardando gli zoccoli degli animali di cui conosceva bene forme, pregi e difetti.
Durante la stagione invernale preparava la scorta dei ferri di misure diverse, per aver facilmente a disposizione i manufatti nella stagione di maggior utilizzo degli animali da traino.
All’occorrenza riparava strumenti agricoli metallici e collaborava con il falegnamen-carradore per la costruzione dei carri. Nel secondo dopoguerra con la scomparsa del traino animale questa attività si ridusse drasticamente e fu relegata alle sole attività sportive.
Lo stagnino / ramaiolo

Lavoro artigiano antichissimo, permetteva la realizzazione con fogli di rame di pentole, secchi, vasi, casseruole, padelle.
Nell’Ottocento, con la diffusione delle lastre di rame preparate industrialmente, questa attività conobbe un grande sviluppo. Attraverso la martellatura, effettuata su speciali incudini, si modellavano i recipienti nelle varie forme volute. Si rifiniva poi con cordonature, orecchie e manici di ferro.
Al termine della fabbricazione si rivestiva l’interno con un sottile velo di stagno al fine di impedire il rilascio di ossidi nocivi durante l’uso. La stagnatura doveva essere ripetuta con gli anni e nel caso di esigenze particolari il ramaiolo applicava “pezze” di rame, opportunamente chiodate.
Alla metà del ‘900, con l’introduzione di pentole e secchi prodotti industrialmente l’attività dello stagnino andò inevitabilmente tramontando e scomparve. A Pizzighettone tra coloro che praticavano questo lavoro si ricorda la famiglia Lanzini che aveva il proprio laboratorio in Gera.