Dove siamo: Pizzighettone (CR) Lombardia

I Musei delle Mura di Pizzighettone

Il Museo delle prigioni


1 sede unica: l’antica cerchia muraria del XV secolo
38 celle singole ancora visibili
3 periodi storici
250 oggetti esposti

Il Museo delle prigioni, primo del suo genere in Lombardia, ha sede in Pizzighettone in tre casematte di Piazza d’Armi, adiacenti a quelle che ospitano il Museo delle arti e mestieri di una volta, adibite a partire dal 1920 a celle di isolamento del Reclusorio Militare. Realizzato nel 1998, il museo ospita dal 2015 un’esposizione permanente di oggetti, materiali militari relativi ai tre periodi storici in cui funzionò.

L'evoluzione del sistema carcerario a Pizzighettone

La detenzione nelle torri del castello

La torre del castello di Pizzighettone fu luogo di detenzione per prigionieri po­litici o cavalieri catturati in battaglia e tenuti in custodia in attesa di riscatto. Il più famoso prigioniero fu il re di Francia Francesco I di Valois, rinchiuso dal 27 febbraio al 18 maggio 1525 dopo la sconfitta nella battaglia di Pavia e trasferito successivamente in Spagna. Diversa era la sorte di chi non poteva permettersi di pagare un riscatto o corrompere un giudice: le prigioni all'epoca non erano intese come luogo dove scontare la pena, ma dove temporaneamente venir rinchiusi in attesa di giudizio o dell'applicazione della pena, fosse que­sta il tratto di corda, il taglio della mano, la pena di morte da eseguirsi sul pa­tibolo o l'invio sulle galee a remare (da cui il termine galeotti).

L'Ergastolo (1785-1796)

Nel 1706, con gli Austriaci, si passò daI supplizio (la pena della società dell'Ancien Régime) al carcere, la pena della società moderna. Gli Austriaci, non di­sponendo di una flotta o di colonie in cui inviare i galeotti, si trovarono in dif­ficoltà a gestire i numerosi condannati. Ridussero il problema cedendoli alla Repubblica Veneta, ma quando quest'ultima si rifiutò di accoglierli, le carceri milanesi si affollarono così tanto che fu approntato un ergastolo in una vecchia fabbrica. L'ergastolo (dal greco ergon lavoro) serviva a far espiare la pena in patria con l'impiego in lavori utili. Nel 1785 Giuseppe II utilizzò le casematte del lato nord della fortezza di Pizzighettone come ergastolo e il castello come ospizio e casa di lavoro per oziosi e vagabondi dell'intera Lombardia. Nel 1796, con l'arrivo dei Napoleonici, l'ergastolo verrà temporaneamente chiuso.

L'ergastolo militare (1831-1848)

Nel 1831 gli Austriaci aprirono a Pizzighettone l'ergastolo militare. I militari rinchiusi provenivano dai reggimenti austriaci di stanza nel Lombardo-Veneto e nella maggior parte condannati per diserzione. Il 1 agosto 1848 i Piemontesi, nella ritirata di Custoza, fecero esplodere il ponte sull'Adda e la polveriera a nord-est dell'ergastolo, causando gravi danni alle costruzioni, alla chiesa di Bassiano e all'ergastolo. Diversi reclusi riuscirono a fuggire seguendo i Piemontesi verso Lodi e Milano: quando gli Austriaci ripresero possesso di Pizzighettone, emisero una circolare con i nomi, le descrizioni somatiche e le pene a cui erano stati condannati i fuggitivi. Gli Austriaci nel dicembre del 1848 trasferirono i detenuti in altre carceri e chiusero l'ergastolo militare.

Il reclusorio politico e penale (1851-1857)

La repressione dei movimenti mazziniani, i tentativi insurrezionali, il diffondersi di azioni di brigantaggio a causa dell'esistenza disperata della popolazione contadina, portarono la polizia ad azioni di repressione sempre più dure: si rese perciò necessaria la riapertura nel 1851 dell'ex ergastolo come reclusorio politico e penale. Il carcere di Pizzighettone, come quello di Mantova da cui dipendeva, aveva assunto la caratteristica di un'istituzione dove il lavoro dei detenuti doveva avvenire all'interno del carcere in laboratori in cui si filavano il lino, la canapa, la lana o si tessevano e filavano manufatti per essere ceduti all'esercito o immessi sul mercato. Nel giugno del 1857 venne chiuso il reclusorio.

Campo di concentramento dei prigionieri austro-ungarici (1915-1918)

Nel 1915 l'Italia entrò in guerra contro l'Austria. All'inizio del conflitto, per la reclusione dei prigionieri di guerra il Governo adattò strutture già esistenti, all'interno di località racchiuse da una cinta muraria, come le cittadelle di Alessandria e Pizzighettone. A Pizzighettone i prigionieri furono rinchiusi nel capannone ex Deposito Avena, nella caserma Lamarmora e in attendamenti. Gli ufficiali furono ospitati nella palazzina ex comando di Piazza d'Armi. Nell'estate del 1917 oltre settecento prigionieri erano reclusi a Pizzighettone. I prigionieri (ufficiali esclusi) vennero utilizzati come manodopera nei lavori dei campi, costruzione di argini o lavori in genere anche nei comuni della bassa lodigiana. Le casematte furono utilizzate come stalle per il Deposito Centrale Buoi.

Reclusorio Militare (1920-1943)

Dopo l'armistizio del 3 novembre 1918, circa 400.000 prigionieri di guerra ita­liani in mano agli Austriaci rientrarono in patria. Su di loro, dopo la rotta di Ca­poretto, gravava il sospetto di diserzione. Furono internati in grandi campi dove vennerero interrogati per accertarne eventuali reati di diserzione. Vennero aperti nuovi re­clusori fra cui quello di Pizzighettone, il più duro. Nei "cameroni", sforniti di servizi igienici, malsani, pieni di insetti e parassiti, erano rinchiusi dai venti ai trenta detenuti in deplorevoli condizioni di promiscuità. "Ti mando a Pizzighettone" diverrà la minaccia più temuta dai militari di leva. Nelle tre case­matte del lato est delle mura furono ricavate trentasei celle di isolamento dove finivano i militari più irriducibili alla disciplina e al recupero politico. Il 18 set­tembre 1943, i 400 reclusi militari di Pizzighettone furono consegnati ai tede­schi e deportati in Germania. Gran parte di loro morì nei lager tedeschi.

L'Istituto Militare di Pena (1944-1945)

Con la nascita della Repubblica Sociale, l'ex Reclusorio "caserma Piave" di­venne un punto di raccolta per militari sbandati. L'alto numero di sbandati, re­nitenti alla leva e disertori, spinse il governo repubblichino a riaprire nel gennaio del 1944 l'ex Reclusorio militare di Pizzighettone come "Istituto Mi­litare di pena". La vita per chi finiva nell'Istituto Militare di Pena di Pizzighettone era terribile. Chi non voleva aderire alla Repubblica Sociale, oltre a essere rinchiuso nelle celle di isolamento a pane e acqua, subiva anche una serie di battiture e infine veniva tradotto in Germania. Due reclusi, Luigi lannacone e Giacomo Petitosi, per evitare di essere inviati in Germania tentarono la fuga uccidendo una guardia carceraria. Furono subito catturati, picchiati a sangue e poi fucilati contro il muro di cinta del cortile d'aria del carcere. Fra i vari par­tigiani imprigionati si ricorda Giuseppe Bescapè del Corpo Volontari della Li­bertà. L'Istituto di pena fu chiuso nel febbraio 1945.

Carcere Giudiziario (1946-1954)

Dopo la Liberazione del 25 aprile 1945 alcune casematte del vecchio reclusorio divennero per un breve periodo la prigione dei fascisti locali catturati dai partigiani che subirono pestaggi. I problemi sociali del Dopoguerra sfociarono in gravi disordini e in criminalità generalizzata e organizzata, favoriti dall'enorme numero di armi in circolazione e dalle condizioni disperate della popolazione. Per reperire altre carceri, nella primavera del 1946 fu riaperto l'ex reclusorio militare di Pizzighettone. Il 21 aprile 1946 il carcere di San Vittore fu distrutto da una sommossa e più di cinquecento dei rivoltosi più pericolosi furono rinchiusi a Pizzighettone: tra i rivoltosi si ricordano Gino Rossetti "lo Zoppo", Ezio Barbieri e la sua banda (nella foto) e Daniele Moroni "Mustascia". Arrivarono anche una quarantina di "politici" ex fascisti fra cui Vincenzo Costa, già federale di Milano. Nel 1954 il carcere Giudiziario venne chiuso.

Reclusorio Minorile (1956-1977)

Nel 1957 le palazzine dell'ex Reclusorio Militare e della direzione dell'ex Car­cere Giudiziario che sorgevano sull'area demaniale furono adibite, dopo una radicale ristrutturazione, ad istituto di rieducazione minorile, denominato "Villa dei Gerani". L'istituto, che arrivò ad ospitare fino a cinquantatre ragazzi (barabìn, come venivano chiamati nel dialetto locale) suddivisi in quattro nuclei famigliari, divenne una struttura modello dove sperimentare nuovi sistemi rie­ducativi. I rapporti fra popolazione e corrigendi furono sempre cordiali e sereni. Fra i tanti ragazzi che frequentarono l'istituto, si ricorda Renato Vallanzasca (all'epoca sedicenne) che all'inizio degli anni '70 seminerà panico e terrore a Milano, diventando uno dei più pericolosi criminali italiani.