Where we are: Pizzighettone (CR) Lombardia

L'uomo e la trasformazione delle materie

Sez. CD: La preparazione degli alimenti

Preparazione del pane

Una volta la settimana, generalmente il venerdì mattina, ogni donna di famiglia procedeva alla lavorazione del pane. All’alba preparava l’impasto con farina, acqua, sale e lievito madre conservato gelosamente dalla precedente panificazione. Con l’uso della gramola ("la grèmula") si affinava l’impasto e poi lo si lasciava riposare avvolto in un panno bianco di lino, variando i tempi a seconda delle stagioni. 

Si procedeva quindi all’attivazione del forno comune per portarlo a temperatura. Ogni donna con sapienti gesti divideva la pasta in pezzature chiamate michi che disponeva in fila sulll’asse. Secondo un rigoroso avvicendamento delle famiglie contadine, le assi con le grosse forme di pane venivano portate al forno per la cottura e con esse anche una fascina di legna indispensabile per mantenere la temperatura ottimale.

Una volta cotte, le forme di pane venivano depositate in un cesto e portate in casa, spesso appese al soffitto, lontano da mani e bocche voraci.

Fra i diversi tipi di pane prodotti, quello più diffuso fra i contadini era il “pàn balòta” composto da farina gialla di granoturco e quindi meno costoso. Si preparava anche il “pàn de mèj” con farina di miglio, frumento e granoturco.

Per il periodo dei Morti si confezionavano dei piccoli pani su cui veniva incisa una croce, utilizzando la farina di tutti i cereali a disposizione: frumento, granoturco, segale, orzo da consumarsi con una zuppa di fagiolini dall’occhio e cotenne di maiale (”fasulin de l’öc cun le cùdeghe”).

Preparazione della polenta

Dal XVII secolo la polenta (”pulènta”) è stato il cibo più diffuso tra le popolazioni contadine padane. Sino alla metà del Novecento questo alimento, che era dato ai contadini come parte in natura del salario, fu consumato su larghissima scala, grazie alla disponibilità della materia prima, il granoturco o mais (“melegòt”) e alla facilità di preparazione.

Si riempiva il paiolo d’acqua e posto sul fuoco si portava a bollore, aggiungendo uno spizzico di sale. Poi pian piano si versava semola di farina di mais movimentando il tutto con un bastone di legno e portando a cottura. La polenta poteva anche essere raffreddata su un tagliere, quindi divisa a fette e date ad ognuno dei componenti del nucleo famigliare come merenda.

Spesso era il solo alimento caldo che di cui la famiglia poteva disporre e questo favorì l’insorgere di malattie dovute alla carenza di vitamine come la pellagra, ben nota durante tutto l’Ottocento.

I dolci

A Pizzighettone, nel XVIII c’erano osterie con l’esercizio di mescita e di ristorazione. Mancavano le caffetterie e le cioccolaterie dove si “fabbricava” e vendeva cioccolata presenti in città come Cremona.

I dolci venivano preparati in casa con farina, uova, strutto e zucchero. Il più semplice da preparare era il “dùro”, una specie di croccante fatto con strutto e zucchero.

Durante le festività natalizie e le feste più importanti era possibile per i più abbienti acquistare il torrone (“turòn”) un dolce di mandorle, miele e bianco d’uovo. La tradizione vuole che proprio dall’alta torre del Duomo di Cremona derivi il nome “torrone”, servito con quella forma in occasione del matrimonio di Francesco Sforza con Bianca Maria Visconti avvenuto a Cremona nel 1441. Fino al secolo scorso il torrone veniva fabbricato dai fornai al termine della lavorazione del pane.

Agli inizi del 1920 era aperta a Pizzighettone la sola pasticceria di Ernesto Leoni. Poi la tradizione del pasticcere continuò con la famiglia Gualtieri ed oggi con la famiglia Santi, specializzata in torte di cioccolato.

Un particolare torrone di gelato (il turon glacé) venne prodotto a partire dagli anni ‘70 dai fratelli Zilioli, i quali con un altro dolce ovvero l’ovogelato (l’uovo di gelato) hanno reso Pizzighettone famoso per le sue specialità dolciarie. 

Fra le torte della tradizione si ricordano “el bisulàn”, una torta compatta a forma di ciambella e “la bertulina”, una torta soffice fatta con farina gialla e bianca.